lunedì 15 marzo 2010

Wonderland

Su un piatto della bilancia la maschera di allora, sull’altro una lacrima da quella di oggi. Amarezza, malinconia e rimpianto gravano sul presente: l’eredità del passato, la gabbia del futuro.
Lo sguardo fisso nello specchio, persa nell’immagine che disegna i contorni di un viso estraneo, Alice cerca un tratto familiare, un barlume che le permetta di ricongiungersi con quel riflesso. Di chi sono gli occhi vacui che ora la scrutano interrogativi? Sbatte le ciglia per risvegliarsi dal torpore. Si ritrae con una smorfia. Sospira. Con indifferenza mal dissimulata lascia che lo sguardo indugi ancora per qualche istante sui dettagli del volto che la osserva di rimando. Poi si blocca. Attratta da un richiamo magnetico, protende il busto in avanti, fino quasi a sfiorare la superficie fredda dello specchio con la punta del naso.

Affacciatasi sul buio di quel nuovo paesaggio, avverte lo sciabordio del mare in burrasca. Si addentra nel fitto dell’oscurità e scorge in lontananza un barlume, trascinato alla deriva dal moto caotico delle onde. E’ il tenue riverbero della chiave perduta, l’unica in grado di aprire lo scrigno misterioso che custodisce l’inestimabile tesoro dimenticato. Rapita, Alice si lascia sedurre dalla promessa delle acque burrascose che ormai la lambiscono, e poi la inghiottono, imprigionandola in un abisso muto e senza scampo. Annaspando, sempre più giù verso i recessi di quel pozzo senza fondo, ritrova i frammenti dimenticati di un passato che ormai stenta a credere le sia appartenuto. Cocci di ricordi le danzano attorno, anch’essi in balia del vorticare imprevedibile della corrente, si avvicinano ammiccanti e poi si ritraggono impertinenti, inafferrabili. Alice rinuncia a ogni resistenza e si abbandona impotente al gioco insidioso della memoria che la opprime con un peso sempre più gravoso e continua a precipitare…
Poi, inaspettata, una luce si infrange contro le macerie che la circondano. Le acque torbide non la stanno più trattenendo. Alza lo sguardo. Ora è circondata da un cielo acceso, da un bagliore onnipresente. Il vento si insinua prepotente fra i suoi capelli e le sussurra un incantesimo all’orecchio. A nulla vale lo sforzo di resistere: gli occhi chiusi e i pugni serrati, Alice non riesce a respingere la forza ignota che, invadente, la sospinge attraverso un terreno sconosciuto.

Il respiro affannoso si addensa sulla superficie dello specchio e un velo opaco chiude la breccia tra i due mondi. Il qui e ora. Ancora quella consapevolezza che prova a farsi strada, quell’urgenza di mettere ordine, di trovare un compromesso con l’estranea che ricambia la sua espressione corrucciata.
Il giorno del suo non-compleanno…ogni giorno uguale al precedente e al successivo. Non c’è occasione che giustifichi l’eterno procrastinare, il continuo posticipo della resa dei conti. Allontanare la consapevolezza che piomba imprevista in un barlume di lucidità. Rifiutarsi di ricomporre i pezzi del mosaico, lasciare che i frammenti sempre più piccoli si spargano disordinati nello spazio e si perdano tra le spirali vorticose del tempo per nascondersi là dove la mano immemore non sia più in grado più raggiungerli.
Impossibile accettare l’incoerenza del disegno, imprigionare combinazioni cromatiche improbabili con linee a aperte dai contorni disarmonici.
Impossibile scendere a patti con la contraddizione, piegarsi all’assurdo.
Impossibile rassegnarsi ai capricci della sorte, illudersi di poter ignorare il passato che torna per presentare il conto e il futuro che si affaccia sul presente esigendo una risposta al suo richiamo.
Desolata, Alice gira le spalle allo sguardo impotente della donna nello specchio e si arrende. Ancora una volta si aggrappa al senso del dovere, l’unica arma in grado di tenere testa al sorgere irruente del dubbio.